sabato 26 ottobre 2013

La varietà dei luoghi che realmente esiste

Luoghi, inconsueti e solitari

Quando si viaggia molto,
e quando si ama semplicemente vagare
e perdersi,
si può finire nei luoghi più bizzarri.

Ho una grande attrazione per i luoghi.
È quasi una sorta di dipendenza.
Altre persone sono dipendenti da droghe o dal calcio,
(beh, anche io…)
dai soldi, dalle automobili, dal successo, o da qualsiasi altra cosa.
Io adoro i luoghi.
Mi lego talmente a loro,
che posso sentire nostalgia per una dozzina di luoghi contemporaneamente.
Cosa c’è di speciale nei luoghi?

Innanzitutto, ne sono molto incuriosito.
Già solo guardando una mappa,
i nomi delle montagne e dei villaggi,
dei fiumi, dei laghi e dei vari paesaggi,
mi eccitano
pur non conoscendoli
e non avendoli mai visitati.
Leggo i nomi
e immediatamente vorrei vedere quei luoghi.
Lo stesso mi accade con le città!
I nomi delle aree, delle piazze, delle vie o dei palazzi
evocano in me un ardente desiderio di visitarli.

Certo non sempre mi piace quello che trovo.
Ma molto spesso sì.
È fortuna?
Ho imparato dalla mia lunga esperienza
nel cercare i luoghi
che si tende a trovare
esattamente ciò che si DESIDERA trovare.

Anche altre persone trovano cose incredibili, ovviamente,
ma sembrano raggiungere risultati diversi rispetto ai miei.
Hanno mentalità diverse, prima di tutto,
e sono alla RICERCA di altro.
Il mio senso di luogo
è impostato su ciò che è “fuori luogo”

Tutti girano a destra perché
“lì c’è qualcosa di interessante”,
io vado a sinistra
“dove non c’è niente”,
ed è quasi certo,
che io mi trovi dinnanzi il “mio tipo di posto”.

Non so,
è come una sorta di radar incorporato
che spesso mi indirizza verso luoghi
inconsuetamente solitari,
o solitariamente inconsueti.

Sto lì e semplicemente non posso credere a quello che vedo…
È questa la mia sensazione preferita.

Si potrebbe iniziare a capire
da dove deriva la mia insaziabile fame di luoghi sconosciuti:
deriva dal fatto
che nel mondo
esistono luoghi e spazi così incredibili
da non riuscire ad essere immaginati neanche nei sogni più fantasiosi,
in colori e forme mai visti,
con i particolari più folli,
in costellazioni impossibili.

Questa è la motivazione per cui non mi interesso
alle immagini generate dai computer,
e a tutte le foto in cui oggi il mondo è riprodotto artificialmente
combinate, manipolate, inventate o composte
per creare una “nuova realtà”
Qual è il “grande dilemma”?!

La realtà che scopro,
ogni volta e in ogni dove,
quei luoghi inconsueti e solitari,
sono così più coinvolgenti ed emozionali, nel mio book,
per il semplice motivo
che esistono.
La maggior parte delle volte con umiltà,
talvolta con orgoglio,
spesso dimenticati
e raramente noti.

Non c’è nulla di più bello sotto il cielo di Dio,
che l’incredibile,
strabiliante,
infinita
varietà di luoghi,
che realmente
esiste.

Wim Wenders

sabato 12 ottobre 2013

Autografi

Dopo anni in cui ho studiato autografi, antigrafi, idiografi, apografi, ho cominciato anche io a collezionarne qualcuno

Giovanni Lindo Ferretti

Enzo Avitabile #1

Enzo Avitabile #2 (su Fuji Instax Wide210)

Franco Battiato

Roscoe Beck (bassista di Leonard Cohen)

Leonard Cohen 
(espressamente con dedica, per non farlo finire su EBay)






domenica 6 ottobre 2013

Gettare la scala dopo esservi salito

Più che avere il coraggio delle proprie convinzioni, bisognerebbe avere il coraggio di attaccare le proprie convinzioni.
Nietzsche
D'altronde detesto tutto ciò che m'istruisce soltanto, senza ampliare ed accrescere immediatamente la mia attività
Goethe

Metto per iscritto alcune riflessioni sull'università e gli studi che sto per concludere. Dopo la maturità scelsi/non scelsi lettere classiche perchè mi sembrava (e mi sembra tutt'ora) di non poter fare altro: mi sembrava l'unico modo per allenare la mia mente, per non diventare un automa come quasi tutte le persone che conoscevo e che conosco, per non entrare nell'ovvio dei significanti e le visioni parziali e solipsistiche. Alla fine mi sono reso conto che per rimanere vivo come ho cercato di descrivere ho dovuto accartocciare e cestinare anche le mie idee sulla letteratura, sul latino, sul greco, sul loro valore, sul modo in cui ci vengono spesso insegnati. Il problema, però, è più articolato e si sviluppa su due livelli: uno formale e un secondo che definirei esistenziale. Il primo riguarda quello che è lo stato dell'arte: di solito i classicisti, alla domanda (per certi versi legittima) sulla utilità delle nostre discipline, glissano sfuggendo e dicendo che l'utilità non è una categoria applicabile (un gruppo su Facebok si chiama "Lettere Antiche: siamo inutili e ne andiamo molto fieri"!!!!!): fondamentalmente così  eludono ogni risposta. Non la danno agli altri intorno e non la danno nemmeno a me, che vorrei continuare questa strada. Dovremmo scendere per strada e trovare le parole per spiegare il nostro posto nella società: se non le troviamo dovremmo trarre le conclusioni: è assodato che nella vita non c'è senso, ma in un contesto sociale di domanda e offerta di servizi, io non posso pretendere un servizio quale che sia senza offrirne un altro (sono esclusi ovviamente quelli di base, ma cerco qualcosa in più del pronto soccorso dalla società in cui vivo): se non spiego agli altri come posso essere loro utile, come posso chiedere agli altri di essere utili? Tentando di abbozzare risposte si ricorre alle cerebrali risposte di intellettuali come Canfora, La Penna, Mieli o altri (tutta gente che si è comunque realizzata in questo settore), quando non si ritorna a Gentile o Croce (per tacere della retorica sugli umanisti, sui romantici, la repubblica delle lettere...), che ovviamente non sono alla portata di tutti o, più semplicemente, non rispondono alla domanda perchè non sono sullo stesso piano. Purtroppo dobbiamo confrontarci con lo zeitgeist (scientismo, globalizzazione, decostruttivismo...) e penso sia necessaria, per prima cosa, onestà intellettuale,  liberandoci dalle etichette che ci siamo posti: noi non siamo vittime di alcunchè, la società non ci ha condannato, i nostri studi non sono ingiustamente bistrattati, a meno che per giustizia non si intenda la giustizia per me. Se sono vegetariano ed entro in una steack house non posso lamentarmi che ci sia carne ovunque. Semplicemente le cose vanno da un'altra parte, in un altro senso. Altro aspetto che ho ravvisato, che potrebbe configurarsi come una conferma  e una conseguenza dell'afasia da cui siamo afflitti: mentre parlavo con ragazze provenienti dal Belgio su ciò che studio, alla mia risposta "lettere classiche" chiedevano ulteriori spiegazioni, confondendomi con uno storico più che con uno studioso dell'antichità: ciò dimostra che nel mondo si vive bene anche non conoscendo la filologia classica (anzi, stavano proprio benissimo!).  Il problema forse è che le nostre materie servono a noi o alla società in generale, quanto a mantenere aperti i dipartimenti e pagare i professori, formatisi però in un altro mondo: nel giro di pochissimo tempo siamo passati dall'affermare il valore insindacabile dell'antico come radice della nostra identità culturale (contrapposto al tecnocratico e ateo mondo sovietico) al ritrovarci tutti insieme latini, greci, turchi, germani, africani, musulmani, hinuit sullo stesso piano, e con Platone che trova lo stesso spazio, nel mondo globale, di Osho, Lao Tzu e al-Hariri : a me non è giunto alcuna notizia di un dibattito critico in merito a questo cambiamento, e ancora continuiamo a pensare e pensarci come i veri depositari del modo più efficace di affrontare la realtà.  Mi viene da fare un'altra considerazione, più generale, sulle humanities: in Italia viviamo ancora in un bolla retorica per la quale noi dovremmo accontentarci del nostro studio, vivere male e sacrificarci per l'arte, disprezzare il mondo che non sa mettere i congiuntivi, gli apostrofi e che usa le abbreviazioni, un mondo in cui le sconfitte diventano i nostri trofei. In qualche modo anche noi vogliamo entrare nelle graduatorie ormai piene, vivere di precariato, soffrire per seguire un sogno: vivere di cultura (meglio con la C maiuscola), castigare i mores contemplando lo splendore del tempo che fu, in cui il latino e il greco permettevano ai legulei di diventare avvocati, ai medici di diventare dottori e di inserire qualche saporita citazione qua e la dando l'idea di essere intellettuali e profondi. I nostri occhi sono coperti da tutte queste parole, abbiamo letto tutti la lettera di Machiavelli a Francesco Vettori dove NM parla del suo amore verso le lettere, usciamo da un sistema scolastico che fondamentalmente è fermo a Gentile (1923)  imperniata su una visione idealistica (da intendersi non come aggettivo, ma a quella corrente filosofica che riduce l'essere al pensiero, privilegiando aspetti ideali rispetto a quello materiali) che di fatto ha ancora un'ipoteca molto forte su tutta la cultura italiana. Come tante voces clamantis in deserto parliamo ancora di valori, di senso, di bellezza (i cui canoni spesso sono fermi al romanticismo) in un mondo che invece macina dati su dati, amiamo i libri indiscrinatamente come oggetti, quando esistono tantissimi supporti che ignoriamo, vogliamo scrivere libri vari, quando ormai l'arte si fa per strada, sul proprio corpo, con l'immondizia. Siamo appunto, voces clamantis in deserto, ma ci lamentiamo di essere vestiti di pelle e di mangiare insetti. Desideriamo un mondo che non è mai esistito e disprezziamo quello che abbiamo intorno, come se tutto il male nascesse da atroci perversioni come programmi televisivi, canzoni stupide o giornali di quart'ultimo ordine. Tutto molto romantico, ma non so quanto utile alla nostra vita qui e ora.
Detto questo, passo al secondo aspetto: allo stato delle cose, giusto a 24 anni a vedere chiaramente questo stato di cose, cosa devo fare? Trovare altro, che pure c'è ed è tantissimo, rischiando col tempo di dimenticare cose che per me sono importantissime e che hanno concorso alla formazione della mio modo di vedere il mondo (quindi di rischiare di mettere sullo stesso scaffale, col tempo, Platone e Osho: ovviamente non comprerò mai Osho, è solo per rimanere nella metafora). Queste sono discipline che mi hanno formato, se non le avessi studiate direi cavolate diverse da quelle che dico adesso e che sto scrivendo ora, sono state uno spartiacque tra ciò che ero prima e ciò che sono ora (con tutti i problemi relativi all'io e a quale io, che ovviamente tralascio). Devo conservare questa lezione come un metodo per avvicinarmi alle situazioni cui inevitabilmente mi troverò davanti, devo coltivarle al livello hobbistico finendo come un cinquantenne che legge Focus Storia? Sarei tentato di seguire Wittgenstein, che alla fine del Tractatus (6.54)  scrive:

 Le mie proposizioni illustrano così: colui che le comprende, alla fine le riconosce insensate, se è salito per mezzo di esse, su esse, oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettare la scala dopo esservi salito). Egli deve superare queste proposizioni. Allora vede rettamente il mondo.

 Con questi dubbi concludo gli esami, parlo con i professori trovandoli sempre più distrutti personalmente che non come gli intellettuali che mi aspettavo, alla ricerca di qualcosa che non c'è più: ovviamente il collasso di cui io sono testimone dai miei professori è stato vissuto, nella totale incoscienza, sulla loro pelle (il passaggio da un'università di élite a una di massa e le altre cause che ho cercato di elencare sopra): tutti i dipartimenti e i convegni sono dedicati a professori formatisi nella prima parte del XX secolo, che rientravano in un numero ristrettissimo di intellettuali europei che diede il meglio  nei decenni successivi al boom post bellico: ora i programmi sono di un livello poco più che liceale: se per esempio, 30 anni fa potevano iscriversi pochissime persone, ancora meno si laureavano, i professori che tenevano corsi erano evidentemente pochi e  riconosciuti: nell'università di massa, per parafrasare Big Bang Theory "Chi volete che non abbia una laurea magistrale?".

Io ovviamente non ho alcuna soluzione, scrivo queste cose solo per ordinare le mie pochissime idee ben confuse.

lunedì 24 giugno 2013

Tutti i mondi possibili esistono davvero

Fu come un vano
sospiro
il desiderio improvviso d'uscire
di me stesso, di vivere la vita
di tutti,
d'essere come tutti
gli uomini di tutti
i giorni.

U.Saba, Il Borgo


Mi capita spesso, osservando  una fotografia su una bancarella, una persona sconosciuta in fila alla posta, leggendo il curriculum di qualche professore dell'università di interrogarmi sulle loro piccole cose di tutti i giorni, su cosa amano, cosa mangiano, cosa pensano del mondo, quali libri leggevano a 14 anni, ed è impossibile non paragonarli a me. Mi chiedo spesso quanto siano pesati su di loro le cose che pesano a me, la barba fatta male, le scarpe sformate di cui ti accorgi solo all'ultimo momento, i problemi per un futuro incomprensibile, quale sia il loro film preferito.
Mi chiedo se abbiano mai amato qualcuno, se siano stati contenti di mangiare il loro piatto preferito, quali siano le cose importanti per loro come le mie lo sono per me, come queste siano entrate nella loro vita.

Lo stesso accade anche con le cose: case diroccate che avranno sicuramente visto le vite di persone normali, banali, che facevano cose normali e banali. Libri non più letti, chi li ha letti mai, saranno piaciuti, saranno stati regali...Vedere foto di vecchie strade, palazzi, chiese, persone che sono state e che non sono più è come cercare di capire un teorema, la cui spiegazione però è sempre più veloce del tuo cervello e per un particolare che ti sembra di aver colto, ce ne sono altri mille che ti corrono davanti in tutte le direzioni senza che tu possa nemmeno sperare di prenderli.

Come per gli oggetti  usati e sformati, anche i corpi poi presentano segni di usura, segni di operazioni: tic, manie, cicatrici:  mi chiedo quanto e se abbiano sofferto, se si sono mai accorti dei  cambiamenti che stavano subendo, della schiena che si curvava e delle gambe sempre più pesanti. Le persone che scendono  da casa al mattino sono tutte storie ambulanti, reti di significanti e questa cosa non smette mai di stupirmi. Con l'uso dei social network tutti ci costruiamo un'immagine, volenti o nolenti, ma non è quello che mi attira: mi colpisce il quotidiano, quello che abbiamo sempre sotto le mani, lo sguardo usuale sul mondo, meglio ancora, la mancata elaborazione del mondo come rappresentazione di se che comporta l'uso dei social network. Mi colpisce come per secoli sia sia vissuto senza, senza sovrastrutture, e mi chiedo se non fosse vita anche quella. Mi stupisco quando vedo, appunto, ancora chi vive senza le mie strutture. 

Amo l'infinito intrecciarsi delle possibilità, intese  presenza fattuale di cose che possono (non) essere, che sono in me e non in altri e viceversa.

Passo davvero molto tempo nel gioco ozioso di arrovellarmi sulle possibilità degli altri, su cosa pensi e cosa mangi il tizio che ora urla sotto casa mia. Questi diventano per me come Eveline di Gente di Dublino, o Ulisse, un personaggio letterario qualsiasi che tu segui e (ri)conosci in base ai suoi gesti che, però, non sono raccontati da un autore nell'incastro di una storia più o meno sensata o conclusa, ma che viaggiano paralleli, si incrociano, ti coinvolgono anche solo per sapere dove si trovi Piazza Bovio e che ritornano poi a sparire nel labirinto dei fili e delle vite altrui, confondendosi gli uni sugli altri in un intreccio che è impossibile seguire.

Io ascolto e non capisco e tutto attorno mi stupisce
la vita, com'è fatta e come uno la gestisce
e i mille modi e i tempi, poi le possibilità
F. Guccini, Il pensionato

sabato 8 giugno 2013

È polvere anche la parola scritta


No, non ti salverà quanto lasciarono

scritto coloro che temendo implori;

tu non sei gli altri, ti trovi nel centro

del labirinto ordito dai tuoi passi.

Non ti salvano l’agonia di Cristo

o di Socrate, non ti salva Budda,

l’aureo Siddharta che accettò la morte

in un giardino, al cadere del giorno.

E’ polvere anche la parola scritta

dalla tua mano, la sillaba detta

dalla tua bocca. E’ impietosa la sorte

e la notte di Dio non ha mai fine.

La tua materia è il tempo, l’incessante

tempo. Sei tutti gli istanti e ogni istante. 
JLB

sabato 11 maggio 2013

Al disastro del presente

Vivere il proprio tempo sapendo, coscienza di carne, che c’è stato altro e altro ci sarà dall’oggi. La società non è nata il 25 aprile del 1945, la cultura non è riducibile all’epopea del beat che pare averci generati, e per far fronte al disastro del presente qualche lezione di storia e d’arte bisogna pur farle. E’ obbligatorio. FLG







giovedì 25 aprile 2013

25 Aprile


La storia non si snoda
come una catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono.
La storia non contiene
il prima e il dopo,
nulla che in lei borbotti
a lento fuoco.
La storia non è prodotta
da chi la pensa e neppure
da chi l'ignora. La storia
non si fa strada, si ostina,
detesta il poco a poco, non procede
né recede, si sposta di binario
e la sua direzione
non è nell'orario.
La storia non giustifica
e non deplora,
la storia non è intrinseca
perché è fuori.
La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
La storia non è magistra
di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
a farla più vera e più giusta.
La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli. C'è chi sopravvive.
La storia è anche benevola: distrugge
quanto più può: se esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia è a corto
di notizie, non compie tutte le sue vendette.
La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
Qualche volta s'incontra l'ectoplasma
d'uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
più liberi di lui.