sabato 7 gennaio 2012

Manuel Vazquez Montalban. Perché bruciare libri non è da nazisti.


Quando all’ufficio di reclutamento per agenti segreti mi chiesero i motivi della mia decisione, chiesi a mia volta se a loro interessassero i motivi epici, ideologici, sentimentali o criminali. Il supervisore, che conosceva benissimo i lirici greci arcaici, rimase meravigliato dalla sottigliezza della mia finta domanda, e mi accettò senza chiedere altro. A dire il vero, non so perché ho cercato di fare questo mestiere, un mestiere che ideologicamente, allora, mi ripugnava. Fu un pomeriggio di settembre. Pioveva e, a sottolineare la mia tristezza, indossavo un impermeabile bluastro. Con le mani schiacciavo i rivoli d’acqua sul tessuto e il contatto umido mi faceva venire voglia di piangere. Era uno di quei pomeriggi funesti in cui si è predisposti all’autocommiserazione e si eccita l’emotività con ricordi falsati. Davanti a un caffè nero e forte, davanti a giovani studenti che uscivano dal vicino Ospedale Generale, in un tanfo di aceto e pesce infarinato e fritto, riflettei sulla mia condizione sociale. Ripassai, attonito, la lista delle cose che avrei dovuto pagare nei quindici giorni successivi. Cercai un colpevole senza trovarlo. Era una meccanica vitale. La redazione di duecento voci di dizionario illustrato equivalevano a tre rate del televisore, un mese di affitto, sei mutande di plastica per la bambina, tre bistecche da centoventi grammi ciascuna, due chili di patate, due di arance, una confezione di noce moscata in polvere, una rivista illustrata, qualche bigliettone alla portinaia perché ci svuotasse tutti i giorni il secchio della spazzatura, due film al cinema per due persone, una fiaschetta di whisky. E no, non bastava a pagare la rata della libreria, forse appena a dare due lire al venditore di libri a domicilio. Ricordai con orrore la quantità di libri comprati e mai letti. Puzzavano di morto. Li adoperavo per fare costruzioni architettoniche. Libri solidi come base: le opere scelte di Marx ed Engels edite dall’Accademia delle Scienze dell’Urss. Gli editori mi avevano giocato un brutto tiro: i libri non erano di identico spessore. Allora dovevo equilibrare alla base uno dei due libri servendomi del saggio di Ráfols sulla pittura del Rinascimento. Il testo di Ráfols aveva il pregio di essere cartonato.
Una volta fissata la base, i muri devono essere fatti con libri tarchiatelli e cicciotti, per esempio: Cime tempestose, Guerra e pace, un volume delle opere complete di Pérez Galdós. La prima tettoia deve essere sottile ma dura (sottolineo quanto siano poco adatte le edizioni moderne per questo gioco architettonico). Un bel tetto consisteva in una vecchia edizione del Robinson Crusoe, e non andava malaccio nemmeno un’edizione altrettanto vecchia delRobinson svizzero. È importante che i muri maestri siano fatti con libri dalla copertina dura, invece per i tramezzi vanno bene anche le edizioni economiche. I miei migliori tramezzi erano costituiti da Stato e rivoluzione del buon Vladimir; Gli occhi dell’eterno fratello di Zweig; Le notti bianche, un manuale del catechismo per la terza media, il primo manoscritto, e simili. I parterre, muretti, cancelli, monti, boschetti, li ottenevo mediante i racconti cecoslovacchi per bambini che Muriel si era procurata per farli leggere in futuro a nostra figlia.
Un altro divertimento consisteva nel giocare alla carta più alta servendosi di libri. Si svuotano gli scaffali e si erige un mucchio di libri in mezzo alla stanza. I giocatori devono estrarre i libri dal mucchio. Un arbitro valuta il libro e decide chi è il vincitore. Per esempio, io prendevo Il canguro di Lawrence, e Muriel Americanismo e Fordismo di Gramsci. Se il giudice era una persona normale faceva vincere Lawrence. Ma se era uno schifoso progressista, allora vinceva Gramsci. C’erano sfide spettacolari, decisioni difficili, rotture irreparabili. Il giorno in cui Muriel e io ci prendemmo a coltellate fu perché io avevo estratto Candide e lei Emile. Ho sempre pensato che Rousseau fosse un perfetto idiota con l’immensa fortuna di vivere in un’epoca che dettava le idee. Voltaire, invece, era un tipo serio. Di Rousseau mi secca l’arrapatura da patta irresponsabile; quei bambini affidati al brefotrofio. Inoltre, l’arrapatura di Rousseau è quella dell’amanuense dal culo grosso che si mena i genitali e li elettrizza per l’intera giornata. Voltaire, invece, era un signore.
Ebbene, faceva da arbitro quel grissino di un biologo, con occhialini, punti neri e varici, voce in falsetto e seborrea capillare. Dalle sue labbra imperfette scaturì la sentenza:
"Emile, di Rousseau".
Io. "Perché?"
Muriel. "Perché? Perché l’ha detto l’arbitro."
Arbitro (sorridente). "Mi attengo al giudizio critico fornito dall’enciclopedia sovietica. Leggete, e potrete vedere chi è stato più importante per la storia del movimento operaio, Voltaire o Rousseau."
Lo sbirro del Cremlino mi guardava con gli occhi pieni di diottrie e di caccole, con un leggero tremolio di contrazione allo sfintere.
Io. "Rousseau era un figlio di puttana, uno svergognato e un burocrate, un topo di biblioteca, e per di più era svizzero!"
Muriel. "Eccolo che ritorna con i suoi preconcetti geografici!"
Arbitro. "Il popolo svizzero, prima o poi, entrerà a far parte della lotta pacifica a favore di una democrazia nazionale e sociale. Guglielmo Tell e Rousseau sono esempi del genio di una razza."
Io. "È un popolo di eschimesi, di tedeschi travestiti da svizzeri!"
Arbitro (grave e con espressione afflitta). "Devo ricordarti la lunga lista di martiri del popolo tedesco caduti in difesa del socialismo."
Muriel. "Comunque ho vinto io e questo è quanto."
Io. "Per ogni martire tedesco caduto in difesa del socialismo ci sono cinquecentomila socialisti martiri dei tedeschi!"
Muriel. "Ecco che spunta il suo massimalismo piccolo-borghese, c’era da aspettarselo!"
Arbitro. "Racconterò tutto, tutto!"
Io. "Tu taci, burocrate!"
Arbitro. "Sei un alleato oggettivo dei nemici della classe operaia!"
Io. "Testa di rapa! Grandissimo figlio di puttana!"
Muriel (mi graffia).
Io (le mollo un pugno sul naso).
Arbitro. "Fascista! Fascista!"
Io (quasi faccio fuori l’arbitro con un destro).
(1972  Ho ammazzato J.F. Kennedy, Yo maté a Kennedy )

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