martedì 31 gennaio 2012

Con la tua potente visione


Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
assomigli al mondo nel tuo gesto di abbandono.
Il mio corpo di rude contadino ti scava
e fa scaturire il figlio dal fondo della terra.


Fui solo come una galleria. Da me fuggivano gli uccelli
e in me irrompeva la notte con la sua potente invasione.
Per sopravvivere a me stesso ti forgiai come un'arma,
come freccia al mio arco, come pietra per la mia fionda.


Ma viene l'ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del seno! Ah gli occhi d'assenza!
Ah le rose del pube! Ah la tua voce lenta e triste!


Corpo della mia donna, resterò nella tua grazia.
Mia sete, mia ansia senza limite, mio cammino incerto!
Rivoli oscuri dove la sete eterna rimane,
e la fatica rimane, e il dolore infinito.


Pablo Neruda,  XX poesie d'amore e una canzone disperata



Fallire meglio

Mi sono sempre chiesto quanto di una persona sia già definito dalla nascita e quanto invece sia perfettibile. Quanti l'impegno e l'acquisizione di una o più tecniche  possano incidere sulla psiche umana, possano aprire le finestre del cervello e a nuove dimensioni, e soprattutto cosa vuol dire aprire nuove dimensioni? ça va sans dire, sto ascoltando New Frontiers di Battiato. Per sondare il terreno mio terreno sto imparando a disegnare. Il disegno in sé è un'attitudine umana, che consiste nella riproposizione bidimensionale di quanto con la nostra mente vediamo in maniera tridimensionale; da buon fumettofilo, sto imparando a disegnare la figura umana, i suoi volumi e le sue proporzioni, avvalendomi di tutto il materiale esistente in rete. 
Piano piano acquisirò una tecnica, farò un occhio, mi verrà normale disegnare un braccio della lunghezza giusta, riuscirò a fare decentemente mai e occhi, croce e delizia di quanti disegnano. 
Ma qui arriva un altro problema: una volta dotato di tecnica, con cosa la rimpolperò? la tecnica è per definizione arida, e quando incanali qualcosa che hai dentro con accorgimenti pratici particolari ottieni l'arte. Io non ho alcuna pretesa artistica, mi basta disegnare decentemente Batman, Daredevil, cose così. Mi ha sempre colpito dei disegnatori, e degli artisti in generale, la capacità che credo innata di vedere la realtà, sintetizzarla nella propria mente e riprodurla nelle sue linee più schematiche. Tu vedi una cosa e la disegni, ma tra la linea che disegni e e l'oggetto che hai di fronte passi tu, il tuo cervello, la tua visione del mondo. Non è solo un fatto di abilità, ma è indice di una qualità, di una caratteristica che non tutti hanno. 

Per ora sono riuscito, dopo due giorni di bozze e prove, a finire un disegno di Batman che prima o poi troverò il modo si postare, forse ci farò un album apposito. Sempre che io riusca a imparare qualcosa che non so fare.

"Avete tentato e avete fallito. Non importa. Tentate ancora. Fallite ancora. Fallite meglio"
Samuel Beckett 

lunedì 30 gennaio 2012

Come non detto

Ero a corto di ideali. Avevo un alibi, perché amando Amparo facevo all'amore con il TerzoMondo. Amparo era bella, marxista, brasiliana, entusiasta, disincantata, aveva una borsa di studio e un sangue splendidamente misto. Tutto insieme.
L'avevo incontrata a una festa e avevo agito d'impulso: "Scusami, ma vorrei fare all'amore con te.",
"Sei uno sporco maschilista."
"Come non detto."
"Come detto. Sono una sporca femminista."
Stava per rientrare in patria e non volevo perderla. Fu lei che mi mise in contatto con un'università di Rio dove cercavano un lettore d'italiano. Ottenni il posto per due anni, rinnovabili.Visto che l’Italia mi stava andando stretta, accettai.

Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, 1988



venerdì 27 gennaio 2012

L'unica cosa reale

Mancano 53 minuti, da quando ho cominciato a scrivere, a domani. I giorni scorrono via così (ogni metafora è già stata usata, mettetene una a piacere: foglie, sabbia, fiumi...) e non esiste un momento per fermarli, non esiste una pozione per riempirli. Come i giorni passano sul calendario, così noi cambiamo, e Aristotele ci insegna che noi chiamiamo tempo la misura del cambiamento secondo il prima e il poi. Non esiste però alcun momento, in queste giornate che viviamo sulla terra, in cui siamo  esentati dalla compagnia di noi stessi. Esiste sempre un momento in cui ci sediamo, ci stendiamo e il nostro interiore homine viene a redarguirci e farci sentire tutto il suo peso. Il peso di un talento non commerciato, di un fiore non colto o al contrario il bidone che ci hanno rifilato in cambio del talento o la puzza che emanava un fiore che ci sembrava degno della nostra attenzione. Ovviamente non so a cosa mi porterà quanto sto dicendo, se tirerò delle conclusioni, anzi, proprio sulle conclusioni, sto iniziando a smettere, come sigarette: niente più abitudine a razionalizzare, a sviscerare un problema: solo il problema, il mondo di fuori, la realtà e io. Un dualismo che si potrebbe dire idealistico, fichtiano, ma è una situazione che chiunque hegelianamente si trovi a essere come essere nel mondo prova almeno una volta al giorno: per continuare con metafore banali di filosofia ottocentesca, è il pendolo che oscilla costantemente tra la noia e il dolore. Non nascono questi due atteggiamenti, da alcun desiderio particolare, da alcuna particolare considerazione di se: nasce quando non ci sono stimoli, non c'è la musica ribelle che ti dice di uscire e ti urla di cambiare, di mollare le menate e di metterti a lottare. A questa situazione di paludamento, che non analizziamo più fiduciosamente alla ricerca delle cause, per poter poi trovare delle soluzioni, ci si oppone in due modi, opposti ma che danno lo stesso risultato: o ci si ritira a fare quello che ci pare, ma che sarà si e no condivisibile con una sola persona per no più di un anno (se va tutto bene), oppure ci si butta nella mischia, anzi, nella prima mischia che capita, pur di sentirsi vivi. Come diceva una canzone, vale la pena anche di ferirsi per sentirsi vivi. Oppure scendere a patti sempre con tutto il mondo, non volere più esprimersi per entrare in un circolo vizioso di noia (chi veramente sa reggere una conversazione così su due piedi? chi veramente non ha solo tre o quattro interessi di cui parla in continuazione?) e vivere come uno zombie senza alcuna spinta? Mortificare se stessi nell'uno e nell'altro caso: da un lato l'apatia totale, dall'altro il fiume di gente per cui "vivere" vuol dire fare cose che non durano nemmeno il tempo di se stesse, basta semplicemente uscire dai soliti posti e dai soliti schemi. Per poi ritornarci subito dopo senza aver mai abbandonato per un istante  il proprio modo di vedere le cose. Ti vesti, esci, parli di cose con persone che forse ne sanno meno di te, o persone che non ti danno nulla se non continue conferme su cose (o a volte, più tristemente, su nozioni) che già conosci da tempo. Questo a cosa porta, a me personalmente cosa porta, cosa ci guadagno? Una venti euro spesa senza manco potermi ubriacare e alleggerire un po', perché (appunto) siamo sempre tutti misurati, parliamo male dei bigotti ma ci comportiamo come loro, solo che casomai ci scappa più facilmente un Porco Dio che ci fa sentire infinitamente fighi, quasi dei maledetti, solo perchè la domenica mattina non si ascolta la nonna e non si va in Chiesa: dai Carmina Burana alla poesia rinascimentale esiste una enorme produzione satirica sui bigotti, ma noi ci sentiamo delle anime dannate, una specie di Jim Morrison redivivo che scandalizza la società col suo membro in vista sotto i pantaloni di pelle attillati. Una volta tornato a casa quindi, che si fa? E se ti stai a casa, che fai? Come eviti questo uomo nero di Esenin che ti guarda e ti spiattella davanti agli occhi l'inconcludenza della tua vita. Come si fa ad uscire da qui?

Un uomo solo è sempre in cattiva compagnia. (Paul Valéry)



Abisso di resine e di fiori


Nel piccolo museo sentimentale
i fili di quei peli ben legati
da piccoli laccetti di nastrino
sono quanto mi resta oggi dei monti,
quelli che ho visitati, monti di Venere.

Io sfioro, accarezzo la nera flora,
ed é ancora nera, in questo bianco
totale del tempo estinto
in cui io, pastor fellante, pascevo
quei ricci profumati, anelli neri,
serpentelli passionali, presso lo specchio
che con loro rimava, in un baleno.

I movimenti vivi nel passato
s'avvolgono ai fili che mi parlano
di ansimi perduti rinascenti
in baci che dalla bocca scivolavano
verso l'abisso di resine e di fiori.

Sto baciando la memoria di quei baci.



Carlos Drummond De Andrade



Amedeo Modigliani.  Il grande nudo disteso.  Museum of modern art, New York



mercoledì 25 gennaio 2012

Risposta intelligente a una domanda deficiente



                                                                               
Non è imprudente supporre che arriverà il giorno in cui qualche giornale divulgherà la seguente domanda: quali sono i tre libri che lei si porterebbe su un'isola deserta?, seguita da un'infinità di risposte piùo meno ternarie. André Gide ha confessato di amare questo gioco e ha ripubblicato alcuni dei suoi cataloghi - eminenti cataloghi ragionati, dove non si trovano solamente i nomi, ma anche il perché di ogni predilezione... Io ho provato a fare quel gioco più di una volta, con caratteri di corpo diverso, e ho preso a tal punto l'abitudine a quelle triplici ripartizioni di gloria che in mancanza di un altro che mi inviti a farlo, mi ci invito da solo.
Comincio con un dubbio che non ha nulla di terribile: il numero 3, sta a significare 3 titoli o 3 tomi?  Nel primo caso, penso (diremo) ai trenta e passa volumi dell' Encyclopedia Britannica, ai tre del Dizionario di Filosofia di Mauthner, e alle opere complete di Schopenhauer, di Butler o di Shaw.
O (se preferite) ai sei volumi di Decadenzae caduta dell'Impero romano di Gibbon, alle opere complete di De Quincey o di Edgar Allan Poe, e ai Saggi di Michel de Montaigne. Ma è un inutile raggiro imbastire di queste liste. La drammaticità di questa domanda e le frugali circostanze di Robinson sembrano respingerle.
Lo spettacolo di un naufrago su un'isola non si addice alla Biblioteca del Vaticanoo ai 386 volumi del Patrologiae cursus completus di Padre Migne. Tre libri vuol dire tre tomi: deve volerlo dire.
Fatto un chiarimento, conviene procedere a un secondo, non meno assiomatico. Parlare dei tre libri che uno si porterebbe su un'isola deserta, non significa parlare dei tre libri più importanti dell'universo e nemmeno dei tre libri più memorabili nell'esperienza personale. Né la storia generale della stirpe né la biografia dell'individuo sono in gioco. L'importanza del Corano è indiscutibile, ma l'inferno promesso nelle sue pagine è meno atroce di un'isoletta senz'altra biblioteca se non un esemplare del Corano. Il Martín Fierro è ammirevole, ma lo so quasi a memoria, e poi a che serve portarsi un volume già assimilato, già consustanziale con il mio spirito? In questi cataloghi di tre libri per tutta la vita c'è l'usanza di includere qualche famoso romanzo o qualche libro di versi. Quelli che fanno così non si sono immaginati il terrore e la solitudine dei giorni uguali di Robinson. Per quel tragico uomo in isolamento nulla è pericoloso quanto il ricordo. Libri di passione, libri di rapporti umani, non otterrebbero altro che farlo disperare. Niente libri che implichino il rapporto uomo-uomini; unicamente libri che implichino il rapporto uomo-Dio, uomo-numeri, uomo-Universo. Niente libri che si lascino leggere facilmente e subito si esauriscano; unicamente libri che è necessario conquistare poco a poco e che possono popolare gli anni identici.
Propongo finalmente questa lista: 1) Un libro matematico (forse la Introduzione alla filosofia matematica di Bertrand Russell, o altrimenti qualche buon testo di algebra, con molti esercizi).
2) Un libro metafisico (forse Il mondo come volontà e rappresentazione di Arturo Schopenhauer).
3) Un libro di storia sufficientemente remota (forse Plutarco, forse Gibbon, forse Tacito).


JORGE LUIS BORGES

Traduzione di Luis E. Moriones Ha collaborato Francesca Caruso Il manoscritto La biblioteca di Robinson Crusoe di Jorge Luis Borges, è stato fornito dall'Harry Ransom Center, centro di ricerca per gli studi umanistici dell'Università del Texas. Nato nel 1957, il centro colleziona diversi manoscritti originali di scrittori: da James Joyce ad Arthur Miller

martedì 24 gennaio 2012

Passare vicino al cuore

Non è bello esser bambini: è bello da anziani pensare a quando eravamo bambini. Cesare Pavese

Oggi pomeriggio, tornando in treno da Napoli, abbasso gli occhi dal libro che stavo leggendo e guardo fuori, dal finestrino: non presto attenzione a quanto c'è fuori, ma semplicemente guardo il panorama e penso che fa freddo. Non quel freddo tagliente, ma che comunque ti fa ammalare, sopratutto se sei piccolo.
 
Questo è quello che probabilmente si è offerto ai miei occhi 10,12,15 anni fa, da quando ho memoria. Giornate che si allungano sensibilmente, ma il tempo non è ancora quello adatto a uscire: mamme, nonne, zie e chicchessia che ti urlano di tornare dentro al caldo, ma io no, sto fuori: io e il mondo che avevo nella testa.  Figlio unico, o comunque fratello maggiore, c'è stata una età dell'oro nella quale plasmavo il mondo a mio piacimento: avevo il tempo e lo spazio sufficienti per muovermi, avevo una rimessa piena di roba pericolosissima ma che potevo manomettere a mio piacere. E' inimmaginabile pensare cosa possa fare un bambino con delle canne che nascono spontanee, vecchi libri, plastilina, vestiti usati, chiodi arrugginiti, cacciaviti vari, una pianta di fichi lì davanti che permetteva enormi mangiate nell'altro periodo dell'anno in cui i giorni sono lunghi ma fa ancora freddo, insieme a una vigna. Come tutte le cose, anche questo mondo onirico è passato via come il fiume, ed è un caso rarissimo in cui mi duole non potermi bagnare ancora in quelle acque. Avevo davvero l'impressione che il mondo fosse mio, e io ero il bambino di La Bruyère che non ha passato né futuro, poiché gode squisitamente il suo presente.



lunedì 23 gennaio 2012

Milo Manara





Se vuoi conoscere i tuoi pensieri di ieri osserva il tuo corpo oggi, se vuoi sapere come sarai domani osserva i tuoi pensieri di oggi (Battiato - Sgalambro, Il cammino interminabile, 2001)

Autoritratto con altre figure allo specchio, 1588-90, Milano, Pinacoteca di Brera



venerdì 20 gennaio 2012

Feminae


 A parte il contorno del viso e il candore dei denti, non era bella.
John Fante,  Chiedi alla polvere


To Sherlock Holmes she is always the woman. I have seldom heard him mention her under any other name. In his eyes she eclipses and predominates the whole of her sex....
Sir Arthur Conan Doyle,  A scandal in Bohemia (Sherlock Holmes' adventures)


Temeva, con una repulsione quasi mortale, ogni nuovo contatto umano. Desiderava sopra ogni cosa che ella se ne andasse e lo lasciasse alla sua solitudine. Temeva la sua volontà, la sua volontà di femmina, la sua insistenza di femmina moderna. E, soprattutto, temeva la sua impudenza tranquilla di donna di mondo abituata ad avere tutto quello che voleva. Perché, infine, egli non era che un domestico. 
D.H. Lawrence, L'amante di lady Chatterly


Si possono patire postumi di sbronza per diverse cose oltre l’alcool. Io ne provavo per le donne. Le donne mi facevano ammalare.
Raymond Chandler, Il grande sonno




giovedì 19 gennaio 2012






Una volta tanto, in questa trasmissione, si sta parlando davvero di cazzate, finalmente. Era l'ora di riconoscere che si parla sempre di cazzate! Questa sera stiamo dicendo che non stasera son cazzate, ma che sempre si parla soltanto di parole, cioè di cazzate. Senza che si offenda il fallo.

lunedì 16 gennaio 2012

Chi festeggia Sant'Antuono, tutto l'anno 'o pass' bbuon


Antonio Abate (Qumans, 251 circa – deserto della Tebaide, 17 gennaio 357), fu un eremita egiziano, considerato il fondatore del monachesimo cristiano orientale.
A proposito di sant’Antonio nacque, probabilmente nell’Alto Medioevo, una leggenda secondo cui si recò nell’inferno e rapì il fuoco per donarlo agli uomini. 
Si tratta evidentemente del riaffiorare del mito del titano Prometeo che salì l’Olimpo per sottrarre agli dei il fuoco di cui l’umanità era stata privata, ridonandoglielo; il cristianesimo riassorbì il mito pagano e sant’Antonio divenne il successore del dio “preveggente” e, con lui, forse assimilò anche un altro dio del fuoco, Efesto, che, racconta il mito, fu scaraventato da Zeus giù dall’Olimpo, si fratturò le gambe e poté camminare solo con l’aiuto di grucce: anche sant’Antonio, è da ricordare, fu sempre raffigurato con le grucce.



domenica 15 gennaio 2012

sabato 14 gennaio 2012

Ora 'e pranz'


In realtà nessun essere umano indifferente al cibo è degno di fiducia. 
Manuel Vázquez Montalbán 


giovedì 12 gennaio 2012

Discorso sul metodo


Sperimentazione è studiare seriamente per scavalcare il luogo comune.


martedì 10 gennaio 2012

Tre cose che ho scoperto questa settimana

 1. A cazzotti per conto di Dio. Fray Tormenta.  Un frate in Messico è una star del mondo della Lucha Libre, si chiama Fray Tormenta, e con i ricavati degli incontri manda avanti un orfanotrofio con palestra dove fa crescere i piccoli luchadores

Fray Tormenta al lavoro

2. Esiste l'esecuzione postuma, rito che consiste nel commutare la pena capitale a una persona già morta. Due esempi famosi: Leonida di Sparta (che però gridava "Μολὼν λαβέ" non "questa è Spartaaaaaaa!") e il Lord Protettore d'Inghilterra Oliver Cromwell.

3. Manlio Sgalambro, filosofo che dal 1993 collabora con Franco Battiato non ha mai conseguito una laurera né di conseguenza alcun dottorato. Dalla sua pagina su Wikipedia:"Sgalambro non ha titoli né lauree per i biglietti da visita: come sia riuscito a diventare uno scrittore di filosofia – i cui libri sono tradotti in francese, tedesco e spagnolo – è un mistero che lui stesso stenta a spiegarsi."



Leggete ogni genere di istruzioni ma non eseguitele.
Fatelo con i medicinali: prima buttate le istruzioni ,
poi i medicinali.

sabato 7 gennaio 2012

Manuel Vazquez Montalban. Perché bruciare libri non è da nazisti.


Quando all’ufficio di reclutamento per agenti segreti mi chiesero i motivi della mia decisione, chiesi a mia volta se a loro interessassero i motivi epici, ideologici, sentimentali o criminali. Il supervisore, che conosceva benissimo i lirici greci arcaici, rimase meravigliato dalla sottigliezza della mia finta domanda, e mi accettò senza chiedere altro. A dire il vero, non so perché ho cercato di fare questo mestiere, un mestiere che ideologicamente, allora, mi ripugnava. Fu un pomeriggio di settembre. Pioveva e, a sottolineare la mia tristezza, indossavo un impermeabile bluastro. Con le mani schiacciavo i rivoli d’acqua sul tessuto e il contatto umido mi faceva venire voglia di piangere. Era uno di quei pomeriggi funesti in cui si è predisposti all’autocommiserazione e si eccita l’emotività con ricordi falsati. Davanti a un caffè nero e forte, davanti a giovani studenti che uscivano dal vicino Ospedale Generale, in un tanfo di aceto e pesce infarinato e fritto, riflettei sulla mia condizione sociale. Ripassai, attonito, la lista delle cose che avrei dovuto pagare nei quindici giorni successivi. Cercai un colpevole senza trovarlo. Era una meccanica vitale. La redazione di duecento voci di dizionario illustrato equivalevano a tre rate del televisore, un mese di affitto, sei mutande di plastica per la bambina, tre bistecche da centoventi grammi ciascuna, due chili di patate, due di arance, una confezione di noce moscata in polvere, una rivista illustrata, qualche bigliettone alla portinaia perché ci svuotasse tutti i giorni il secchio della spazzatura, due film al cinema per due persone, una fiaschetta di whisky. E no, non bastava a pagare la rata della libreria, forse appena a dare due lire al venditore di libri a domicilio. Ricordai con orrore la quantità di libri comprati e mai letti. Puzzavano di morto. Li adoperavo per fare costruzioni architettoniche. Libri solidi come base: le opere scelte di Marx ed Engels edite dall’Accademia delle Scienze dell’Urss. Gli editori mi avevano giocato un brutto tiro: i libri non erano di identico spessore. Allora dovevo equilibrare alla base uno dei due libri servendomi del saggio di Ráfols sulla pittura del Rinascimento. Il testo di Ráfols aveva il pregio di essere cartonato.
Una volta fissata la base, i muri devono essere fatti con libri tarchiatelli e cicciotti, per esempio: Cime tempestose, Guerra e pace, un volume delle opere complete di Pérez Galdós. La prima tettoia deve essere sottile ma dura (sottolineo quanto siano poco adatte le edizioni moderne per questo gioco architettonico). Un bel tetto consisteva in una vecchia edizione del Robinson Crusoe, e non andava malaccio nemmeno un’edizione altrettanto vecchia delRobinson svizzero. È importante che i muri maestri siano fatti con libri dalla copertina dura, invece per i tramezzi vanno bene anche le edizioni economiche. I miei migliori tramezzi erano costituiti da Stato e rivoluzione del buon Vladimir; Gli occhi dell’eterno fratello di Zweig; Le notti bianche, un manuale del catechismo per la terza media, il primo manoscritto, e simili. I parterre, muretti, cancelli, monti, boschetti, li ottenevo mediante i racconti cecoslovacchi per bambini che Muriel si era procurata per farli leggere in futuro a nostra figlia.
Un altro divertimento consisteva nel giocare alla carta più alta servendosi di libri. Si svuotano gli scaffali e si erige un mucchio di libri in mezzo alla stanza. I giocatori devono estrarre i libri dal mucchio. Un arbitro valuta il libro e decide chi è il vincitore. Per esempio, io prendevo Il canguro di Lawrence, e Muriel Americanismo e Fordismo di Gramsci. Se il giudice era una persona normale faceva vincere Lawrence. Ma se era uno schifoso progressista, allora vinceva Gramsci. C’erano sfide spettacolari, decisioni difficili, rotture irreparabili. Il giorno in cui Muriel e io ci prendemmo a coltellate fu perché io avevo estratto Candide e lei Emile. Ho sempre pensato che Rousseau fosse un perfetto idiota con l’immensa fortuna di vivere in un’epoca che dettava le idee. Voltaire, invece, era un tipo serio. Di Rousseau mi secca l’arrapatura da patta irresponsabile; quei bambini affidati al brefotrofio. Inoltre, l’arrapatura di Rousseau è quella dell’amanuense dal culo grosso che si mena i genitali e li elettrizza per l’intera giornata. Voltaire, invece, era un signore.
Ebbene, faceva da arbitro quel grissino di un biologo, con occhialini, punti neri e varici, voce in falsetto e seborrea capillare. Dalle sue labbra imperfette scaturì la sentenza:
"Emile, di Rousseau".
Io. "Perché?"
Muriel. "Perché? Perché l’ha detto l’arbitro."
Arbitro (sorridente). "Mi attengo al giudizio critico fornito dall’enciclopedia sovietica. Leggete, e potrete vedere chi è stato più importante per la storia del movimento operaio, Voltaire o Rousseau."
Lo sbirro del Cremlino mi guardava con gli occhi pieni di diottrie e di caccole, con un leggero tremolio di contrazione allo sfintere.
Io. "Rousseau era un figlio di puttana, uno svergognato e un burocrate, un topo di biblioteca, e per di più era svizzero!"
Muriel. "Eccolo che ritorna con i suoi preconcetti geografici!"
Arbitro. "Il popolo svizzero, prima o poi, entrerà a far parte della lotta pacifica a favore di una democrazia nazionale e sociale. Guglielmo Tell e Rousseau sono esempi del genio di una razza."
Io. "È un popolo di eschimesi, di tedeschi travestiti da svizzeri!"
Arbitro (grave e con espressione afflitta). "Devo ricordarti la lunga lista di martiri del popolo tedesco caduti in difesa del socialismo."
Muriel. "Comunque ho vinto io e questo è quanto."
Io. "Per ogni martire tedesco caduto in difesa del socialismo ci sono cinquecentomila socialisti martiri dei tedeschi!"
Muriel. "Ecco che spunta il suo massimalismo piccolo-borghese, c’era da aspettarselo!"
Arbitro. "Racconterò tutto, tutto!"
Io. "Tu taci, burocrate!"
Arbitro. "Sei un alleato oggettivo dei nemici della classe operaia!"
Io. "Testa di rapa! Grandissimo figlio di puttana!"
Muriel (mi graffia).
Io (le mollo un pugno sul naso).
Arbitro. "Fascista! Fascista!"
Io (quasi faccio fuori l’arbitro con un destro).
(1972  Ho ammazzato J.F. Kennedy, Yo maté a Kennedy )

venerdì 6 gennaio 2012

lunedì 2 gennaio 2012

And all I loved, I loved alone.



From childhood's hour I have not been
As others were; I have not seen
As others saw; I could not bring
My passions from a common spring.
From the same source I have not taken
My sorrow; I could not awaken
My heart to joy at the same tone;
And all I loved, I loved alone.
Then- in my childhood, in the dawn
Of a most stormy life- was drawn
From every depth of good and ill
The mystery which binds me still:
From the torrent, or the fountain,
From the red cliff of the mountain,
From the sun that round me rolled
In its autumn tint of gold,
From the lightning in the sky
As it passed me flying by,
From the thunder and the storm,
And the cloud that took the form
(When the rest of Heaven was blue)
Of a demon in my view.
E.A.Poe