giovedì 4 ottobre 2012

Full of life#2

Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone.
Italo Calvino, Le città invisibili



Mi capita molto spesso, girando  per strada, di osservare una serie di situazioni assolutamente minime e particolari, come Marcovaldo che notava i ciuffi d'erba che annunciavano la primavera. Mi colpiscono soprattutto i segni del passare del tempo, le foglie autunnali, gli immigrati che vendono ombrelli (e anche se è una giornata soleggiata e stanno in giro, sicuramente verrà a piovere), i manifesti sovrapposti che tradiscono il tempo passato dalla loro affissione, le piogge e il sole che li ha scoloriti. Tra questi dettagli totalmente minimali mi sembra di scorgere, di tanto in tanto, dei segnali di vita. Viviamo in un mondo che ha detto tutto, ha smentito tutto, ha trovato un codice che però da tempo ormai non dice più nulla, eppure in giro, soprattutto tra gli strati più bassi della società, avverto qualcosa palpitare. Un palpito cieco, premoderno in alcune sue forme, che però sfida lo scorrere del tempo e la consunsione e la noia che porta. Faccio un paio di esempi: girando per Caserta, di tanto in tanto mi imbatto in gruppi di ragazzi di chiare origino slave: vestiti all'occidentale ma senza pretese, parlano tranquillamente senza urlare, senza doversi sballare, senza dare indizi esteriori di questa decadenza che invece noi tutti viviamo o pensiamo di vivere. I bambini occupano gli spazi pubblici, girano in bici, vivono il mondo circostante senza ansie: niente ansia si apparire, di non scomporsi. Le mamme ovviamente li riprendevano, ma tutto era molto misurato e controllato. Nel Parco della Reggia una signora si prende cura tutti i giorni dei cani randagi: li spazzola, porta loro il cibo, li cura: dà loro gli avanzi della sua mensa, ha lasciato nei vari cespugli spazzole e ciotole: ha, insomma, occupato uno spazio vuoto che tutti trascuravamo. Come per i bambini che girano vorticosamente in bici intorno alla fontana della villa comunale, sto assistendo a un'occupazione di spazi pubblici, mentre i cittadini "autoctoni" si struggono ogni giorno alla ricerca di qualcosa che non avranno mai: ragazze e ragazzi che sembrano usciti da "Gossip Girl", che per fare 500 metri scendono ipertruccati e iperpreparati, senza che però ci siano luoghi che giustifichino tale sfrenata ricerca estetica, anche perché abitiamo tutti in una borghese città del Sud del Sud dei Santi, e non a Manhattan (questa è una considerazione che ho fatto molte volte, lo so).
Sempre parlando dello scorrere del tempo e del mantenere in vita qualcosa senza che ci sia un guadagno, ma perché questo qualcosa è sempre vissuto e deve continuare, non perché sia una fonte di guadagno, ma per tradizione, per ossequio a qualcosa che c'è stato prima di noi e che ci sarà dopo. Mi riferisco (chi mi conosce l'avrà già capito) alle varie forme di devozione popolare che ancora qua e là trovo e cerco di documentare. Non vado a cercarle, come De Martino, nella profonda Lucania, ma in città come Napoli e Caserta, città che si propongono  come moderne, metropolitane e aperte al mondo. Ebbene, andando in giro trovo molto interessante vedere come anche nelle edicole votive, nelle chiese, ci sia un tentativo di opposizione al lento passare del tempo, e alcuni elementi sono veramente interessanti: girando qua e la si notano edicole votive con le lampadine a risparmio energetico; quelle fatte con una bolla di vetro, ma con dei tubicini pieni di gas: sono un'invenzione piuttosto recente, e vederle vicino a quelle cappellette mi dà un senso di straniamento, anche perchè la loro riuscita estetica è quasi ridicola. Riflettendoci su mi sono reso conto che appunto in questo stridore sta la chiave: non importa se sono brutte, non importa se non c'azzeccano col resto, l'importante è che in quel posto ci sia una luce.  

Quindi mentre noi ci interroghiamo sul progresso, sul futuro, sul senso della nostra società, c'è anche un altro mondo che vive nella decadenza, nel senso che vive nelle strutture che noi definiamo decadenti, che cura i cani randagi, che usa e dà utilità e senso a spazi che abbiamo da tempo abbandonato ma che comunque, visto che tra questi spazi ci siamo nati, fanno anche un po' parte di noi.

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